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Impatto della CO₂: tra allarmismo e realtà

12.11.2024

Gli effetti della CO₂ e delle emissioni di gas serra sono un tema ampiamente discusso, spesso accompagnato da numeri impressionanti e paragoni che possono generare allarme. Ma fermiamoci un attimo: quando leggiamo che un'auto elettrica produce annualmente 2,6 tonnellate di CO₂, rispetto alle 3,8 tonnellate di un'auto tradizionale, cosa significa realmente per noi?

Alcuni dicono che è tanto, altri che è poco, e altri ancora sottolineano che, moltiplicato per milioni di veicoli, diventa comunque rilevante. Ma cosa significano davvero questi numeri? Il problema è solo il valore numerico? Non basta guardare i dati in modo isolato.

Vale la pena fermarsi un momento a riflettere su come il nostro cervello elabora queste informazioni e su come i numeri, che siano in percentuale o assoluti, non dicano nulla se non sono inseriti nel giusto contesto. Ma non basta nemmeno questo: per sviluppare una comprensione accurata e responsabile del problema, è fondamentale valutare anche le conseguenze delle decisioni prese. La domanda è: vengono considerati tutti i collegamenti, sia nell’agire che nel non agire, oppure stiamo lavorando con informazioni incomplete? Solo con una visione d’insieme possiamo prendere decisioni consapevoli ed evitare manipolazioni o interpretazioni distorte.

I dati che seguono, provenienti da diverse fonti, non pretendono di essere “corretti” in senso assoluto, ma vogliono offrire un’idea delle grandezze in gioco e permettere una visione d’insieme a livello globale.

Prima della rivoluzione industriale, il nostro pianeta manteneva un equilibrio, con una concentrazione di CO₂ nell’atmosfera di circa 280 parti per milione (ppm). Gli oceani, con un pH pari a 8,2, ospitavano ecosistemi marini in perfetto equilibrio. Oggi la concentrazione di CO₂ ha superato le 420 ppm – un cambiamento le cui reali implicazioni andrebbero comprese.

Per contestualizzare: in ambienti chiusi con ventilazione normale, concentrazioni di CO₂ fino a 1.000 ppm sono considerate innocue. Il problema, però, non riguarda l’aria che respiriamo, ma gli effetti sul clima e sull’ecosistema.

L'IPCC ha definito una soglia critica a 450 ppm, oltre la quale aumentano significativamente i rischi di cambiamenti climatici irreversibili, come lo scioglimento accelerato di ghiacciai e calotte polari, variazioni estreme nei modelli meteorologici, perdita di biodiversità e desertificazione.

Attualmente, le attività umane rilasciano ogni anno circa 40 miliardi di tonnellate di CO₂ nell’atmosfera. Il pianeta è in grado, attraverso processi naturali, di assorbirne circa la metà. Le restanti 20 miliardi di tonnellate rappresentano però l’eccesso che altera gli equilibri.

Poiché 1 ppm corrisponde a circa 2,13 miliardi di tonnellate di CO₂, si potrebbe prevedere un aumento annuo di almeno 9 ppm considerando le emissioni globali. In realtà, si registra un incremento di appena 2-3 ppm all’anno. Il motivo è il ruolo fondamentale degli oceani: assorbono una parte significativa della CO₂ emessa, ma a caro prezzo. Il pH della superficie marina è passato da 8,2 a 8,1, equivalente a un aumento dell’acidità del 26%, con conseguenze gravi per la vita marina.

In conclusione, per mantenere l’attuale equilibrio, sarebbe necessario ridurre le emissioni annuali di 20 miliardi di tonnellate. Misure compensative come il rimboschimento sono importanti, ma da sole non bastano: per compensare l’eccesso attuale di emissioni servirebbero 20 milioni di chilometri quadrati di nuove foreste, quasi la metà dell’attuale superficie forestale globale.

L’Europa, con 7,8 miliardi di tonnellate di emissioni annuali, rappresenta solo una piccola parte del problema globale. Ciò non sminuisce tuttavia l’importanza del suo contributo: ogni riduzione conta in questa sfida globale.

La strada giusta non sta negli estremi – né nell’allarmismo né nella negazione – ma in un approccio razionale ed equilibrato. Servono azioni concrete, basate sulla scienza, che coinvolgano tutti i livelli a livello mondiale.


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